Canone radiotelevisivo: attenzione ai salti nel buio

26.01.2018

CdT del 26.01.2018

L'iniziativa per l'abolizione del canone radiotelevisivo ha orientato i riflettori e i microfoni della SSR su sé stessa. Al centro del dibattito sta la complessa natura del servizio pubblico radiotelevisivo nel contesto federalista e multiculturale della Svizzera, in una società sempre più digitalizzata. Aspramente criticata dai promotori della cosiddetta #NoBillag, soprattutto per le dimensioni assunte dalla sua offerta, la SSR si vede quindi costretta e rendere conto delle sue scelte strategiche, ben consapevole delle esigenze di trasparenza degli utenti che la finanziano. È l'occasione per ripensarsi parzialmente, dopo aver captato la domanda di cambiamento, sfruttando allo stesso tempo il margine di miglioramento sul piano dei contenuti. Sarebbe tuttavia irresponsabile spegnere l'interruttore di un'azienda che da svariati decenni svolge un importante ruolo di integrazione identitaria nella Svizzera contemporanea. Nella realtà ticinese non può essere sottovalutata neppure la rilevanza economica della RSI: ca. 1'700 tra posti di lavoro diretti e indiretti, con un valore aggiunto di oltre 200 mio. di franchi che irrora una moltitudine di piccole e medie realtà professionali. Linfa vitale per un Cantone che vuole essere un polo autorevole anche nel settore audiovisivo. Mi auguro che il Ticino non sia disposto a compiere un deliberato harakiri, proprio in un ambito in cui beneficia di un trattamento particolarmente favorevole, grazie alla ridistribuzione assai solidale dei proventi del canone (22% delle risorse della SSR). In un mercato esiguo come quello svizzero - per tacere di quello ticinese - l'abrogazione della tassa di ricezione avrebbe conseguenze nefaste per la qualità dei programmi, soprattutto di quelli con carattere informativo e di approfondimento. Il cespite d'entrata della pubblicità coprirebbe un'infima parte dei costi a carico di qualsiasi promotore pubblico o privato. Gli abbonamenti facoltativi non riuscirebbero a supplire ai proventi del canone: per rimanere abbordabili permetterebbero solo l'accesso a programmi di intrattenimento scadenti, mentre per guardare lo sport si sborserebbero somme ben più elevate. Anche alle attuali emittenti private, che pure svolgono un servizio pubblico complementare a livello regionale, verrebbe a mancare una quota importante di risorse pubbliche. Scomparirebbe l'obbligo di un'offerta di buona qualità, accessibile a tutta la popolazione alle medesime condizioni e ad un prezzo equo. La SSR è chiamata senz'altro a migliorare costantemente il suo prodotto. Ma per poterlo fare le serve una parte consistente del gettito del canone e uno statuto di indipendenza che non sia solo formale, bensì pure materiale. Dovrà mirare sempre più al pluralismo delle opinioni, ad un grado plausibile di oggettività e imparzialità nei servizi giornalistici ed in generale alla solidità dei contenuti. Solo così l'ente radiotelevisivo assolverà pienamente la sua missione, fornendo ai cittadini gli strumenti indispensabili per una libera e critica formazione delle opinioni. Senza un adeguato finanziamento pubblico questa missione risulterebbe irrimediabilmente compromessa. Dovremmo forse piegarci docilmente alla dittatura dell'audience, in balia dagli appetiti commerciali e degli interessi di grandi investitori privati che a nord delle Alpi si stanno strategicamente espandendo?

Il canone radiotelevisivo - che è pari al 75% degli introiti della SSR e dal 2019 si ridurrà a 365 franchi annui - è l'unico sistema di finanziamento che consente di assicurare un'offerta capillare dal punto di vista non solo geografico, ma anche tematico. La ricchezza del nostro Paese - con la sua complessa trama di differenze tra regioni linguistiche, città e campagna, Romandia e Cantoni primitivi, forze progressiste e conservatrici e classi sociali diverse - deve continuare a riflettersi nel servizio pubblico radiotelevisivo. Il nostro Paese sta insieme perché lo vuole, pur rimanendo una comunità eterogenea che nel tempo è riuscita a consolidare la sua coesione interna anche grazie alla SSR. Per continuare a giovarci del suo contributo dobbiamo essere disposti a pagarne il prezzo, per altro del tutto ragionevole, in termini di solidarietà. Questo collante culturale non è dato una volta per sempre. Va alimentato giorno dopo giorno, con un lavoro a più livelli: politico, economico e sociale. La SSR integra questi livelli, funge da amalgama e contribuisce a farci sentire parte di un tutto che si confronta anche con ciò che gli sta attorno, in Europa e nel mondo. La RSI e la SSR, percorrendo il Paese attraverso le istituzioni, le associazioni, le iniziative e l'attualità ci raccontano l'essenza di una Nazione comune, facendoci scoprire il suo territorio, i suoi equilibri, le persone e le storie che lo abitano. Occasioni di confronto e di riflessione che accrescono il nostro senso di appartenenza. Sta solo a noi decidere di non rinunciare a questo patrimonio, sapendo che cosa perderemmo. Evitiamo pericolosi salti nel buio e votiamo quindi NO a questa pericolosa iniziativa.

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