04.02.2017

CdT del 04 febbraio 2017

Ammettiamolo pure: la riforma 3 della fiscalità delle imprese è complessa e per certi versi ostica da comprendere in tutte le sue componenti tecniche. Ma invece di concentrarci sulla singola pianta, osserviamo l'intera foresta. Il vero quesito politico di fondo è: vogliamo mantenere gli statuti fiscali speciali esponendoci ad una serie di ritorsioni internazionali, oppure vogliamo investire risorse per una piazza economica che rimanga competitiva e continui a creare posti di lavoro anche senza queste agevolazioni concesse dai Cantoni ad alcuni tipi di società? Se la riforma venisse bocciata, come chiedono sinistra e sindacati, sarebbe mantenuta la tassazione privilegiata di società internazionali (holding, società miste e di sede) e la pressione dell'OCSE, del G20 e dell'UE nei confronti della Svizzera aumenterebbe. Il nostro Paese non solo resterebbe iscritto nelle famigerate liste nere, in cui figurano gli Stati che non rispettano gli standard elaborati per scoraggiare la concorrenza fiscale sleale (gli statuti fiscali dei Cantoni sono infatti equiparati ad aiuti statali che distorcono una corretta concorrenza internazionale), ma sarebbe anche verosimilmente oggetto di sanzioni. Entro il 1.1.2019 saremmo costretti ad adeguarci comunque, ma senza alcuna rete di salvataggio in grado di evitare una consistente erosione del gettito fiscale degli enti pubblici, dovuta alla probabile delocalizzazione di molte imprese internazionali che non sarebbero disposte a subire un così forte inasprimento fiscale. La posta in gioco è proprio questa: scongiurare un tale scenario con conseguenze pesanti, considerato che le ca. 24'000 società internazionali a statuto speciale occupano quasi 150'000 dipendenti e contribuiscono per il 49% al gettito complessivo dell'imposta federale sull'utile (ca. 4,3 miliardi di franchi nel 2013), a cui vanno aggiunti ca. 1 ulteriore miliardo di imposta sull'utile dei Cantoni e dei Comuni e ca. 5 miliardi di contributi sociali.

La riforma elimina una manifesta disparità di trattamento fiscale tra le società e introduce un'imposizione uniforme dei loro utili aziendali, perché i Cantoni applicheranno la medesima aliquota d'imposta sia per le piccole e medie imprese locali sia per le società attive a livello transnazionale. Queste ultime pagheranno un po' di più rispetto ad oggi (anche molto di più se non investono nella ricerca e nello sviluppo) mentre tutte le altre imprese pagheranno di meno, a seconda delle riduzioni delle aliquote che i Cantoni avranno liberamente deciso. Ne gioveranno l'innovazione e i posti di lavoro. Infatti, le misure contemplate dalla riforma - oltre ad essere compatibili con gli standard internazionali - mirano a propiziare gli investimenti nella ricerca e nello sviluppo e a favorire la creazione e l'insediamento di nuove attività imprenditoriali dall'estero. Vanno in questa direzione sia la possibilità di beneficiare di ammortamenti supplementari nei primi anni per le imprese che trasferiscono in Svizzera la loro sede, sia l'obbligo per Cantoni e Comuni di ammettere uno sgravio fino al 90% dell'utile netto imponibile derivante da brevetti e da altri diritti analoghi (i patent box), sia il loro diritto di riconoscere la deducibilità delle spese sostenute per la ricerca e lo sviluppo fino ad un massimo del 150%.

La riforma ha il pregio di configurarsi secondo un modello federalista e perequativo, perché prevede - oltre ad un contributo supplementare per i cantoni finanziariamente deboli (180 mio.) - un incremento dal 17% al 21,2% (920 mio.) della partecipazione cantonale agli introiti dell'imposta federale diretta (IFD) per mitigare la flessione iniziale di gettito di quei Cantoni (e sono diversi) che intendono compensare l'abolizione dei loro statuti speciali con la riduzione dell'imposta sull'utile delle persone giuridiche.

Questa riforma è un investimento nel futuro e favorirà l'occupazione. E quando ci sono di mezzo così tanti posti di lavoro non si può scherzare con il fuoco. Non per nulla tutti i Cantoni raccomandano un sì il prossimo 12 febbraio. Andiamo a votare sì anche noi!

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