Uscire dal nucleare ma senza forzature

05.11.2016

CdT del 05.11.2016

All'orizzonte si delineano sempre meglio i contorni di un'iniziativa popolare dal titolo tanto allettante, quanto fuorviante: "Per un abbandono pianificato dell'energia nucleare", sulla quale saremo chiamati ad esprimerci il prossimo 27 novembre. L'obiettivo della proposta - ovvero il divieto di produrre energia nucleare in Svizzera - è condivisibile e sostenuto anche dalle Camere federali, ma gli iniziativisti vorrebbero farci credere che sia realizzabile entro il 2029 grazie ad un "abbandono pianificato". L'abile cosmesi terminologica vorrebbe essere rassicurante, mascherando i grossi rischi che questa scelta precipitosa e caotica comporterebbe.

Le centrali nucleari producono il 40% dell'energia elettrica totale generata in Svizzera. Una rinuncia prematura al loro apporto pregiudicherebbe seriamente l'approvvigionamento interno. Infatti, stando a valutazioni più ideologiche che scientifiche, già entro l'inverno prossimo andrebbero spente 3 centrali su 5, sacrificando il 15% dell'energia prodotta annualmente in Svizzera (paragonabile a 1,6 mio di economie domestiche) e il 40% entro il 2030. Per compensare questo deficit andrebbe convertito il tessuto produttivo così come la sua rete di distribuzione. È tuttavia illusorio ritenere di poter pianificare, progettare e realizzare in così poco tempo nuove centrali idroelettriche o impianti eolici a sufficienza. Occorrono diversi anni per poter attivare nuove centrali: si tratta di progetti che devono sormontare lunghi calvari ricorsuali, generati spesso dalle stesse organizzazioni ambientaliste che si oppongono al nucleare. V'è inoltre una questione di efficienza produttiva che non può essere sottovalutata, poiché - a titolo d'esempio - la produzione elettrica della sola centrale nucleare di Mühleberg corrisponde a qualcosa come 685 macchine eoliche.

Per evitare costosi black-out, la Svizzera sarà dunque costretta ad importare elettricità dall'estero, come peraltro già avviene d'inverno. Uno scenario a dir poco paradossale. Incentiveremmo ancora la produzione di energia nucleare, così come quella proveniente da fonti inquinanti, carbone e gas in primis. La Francia si affida infatti per il 75% al nucleare e la Germania per il 50% al carbone. Il nostro attuale sistema di approvvigionamento, per contro, è fra i più sostenibili al mondo, con un'immissione di CO2 quasi nulla, grazie alla combinazione di energia nucleare e idroelettrica. Ma c'è anche un problema tecnico. Importare massicciamente elettricità dall'estero o produrne in maniera delocalizzata, moltiplicando le centrali sul territorio, sovraccaricherebbe l'attuale rete di trasporto di elettricità. E il suo potenziamento richiederebbe procedure annose, per gli stessi motivi citati sopra.

Discutere di nucleare significa discutere di sicurezza. La Svizzera vanta un sistema di sorveglianza all'avanguardia, garantito dall'Ispettorato federale della sicurezza nucleare (IFSN), che l'anno scorso ha effettuato oltre 500 controlli e in ogni momento può ordinare ai gestori delle centrali tutte le misure ritenute necessarie. Lo stesso IFSN è sottoposto alla sorveglianza di un organo indipendente, ovvero la Commissione federale della sicurezza nucleare. Le norme e i dispositivi in vigore nel nostro paese sono - com'è giusto che sia - molto esigenti. Grazie ad essi è quindi assai improbabile che carenze analoghe a quelle riscontrate nelle famigerate centrali di Fukushima possano manifestarsi nei nostri impianti. Anche i test effettuati dall'autorità europea competente confermano che siamo fra i Paesi produttori più sicuri d'Europa, grazie a disposizioni legali che finora hanno stimolato investimenti pari a 6,3 mia. di franchi nella sicurezza.

L'uscita dal nucleare davvero pianificata e ordinata è contenuta nella Strategia energetica 2050, proposta dal Consiglio federale e affinata dal Parlamento che l'ha avallata nella scorsa sessione d'autunno. È previsto, fra l'altro, lo spegnimento delle centrali che raggiungono il loro ciclo di vita (50 anni) e la rinuncia alla costruzione di nuove. E ciò attraverso un solido programma di conversione sistemica: ossia con lo sviluppo ulteriore dell'approvvigionamento idroelettrico, l'incremento della quota di energia rinnovabile alternativa e il miglioramento dell'efficienza energetica degli edifici, degli apparecchi e della mobilità. L'uscita dal nucleare è dunque già in atto. La centrale di Mühleberg chiuderà entro il 2019. Seguiranno le altre centrali, attenendosi a una cadenza che rispetta esigenze economiche nonché valutazioni tecnico-scientifiche, e non forzature ideologiche.

Confido che, anche in questa occasione, il popolo sovrano sappia resistere alla tentazione di assecondare questa iniziativa dal titolo accattivante, opponendosi all'abbandono prematuro e disordinato del nucleare. Io voterò NO e vi invito a fare altrettanto. Un approvvigionamento energetico sicuro è fondamentale per le persone, così come per le aziende che devono continuare a beneficiare di condizioni quadro tutto sommato invidiabili. Evitiamo di mettere a repentaglio un simile vantaggio competitivo del nostro sistema-paese.

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